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Zappa e fagioli - Toni puntata 8

Immagine del redattore: Cristiano TuratoCristiano Turato

Un orto in mezzo a una distesa di campi. Sembra il riflesso di un’oasi, una flebile speranza, l’unica rimasta nel cuore di quel viaggiatore in cerca di sogni. Quel rettangolo di terra

se ne sta solo senza alcuna recinzione che lo protegga da qualche mano agitata e da una bocca che cerca di placare la fame. È un giorno speciale oggi perché il sole, dal canto suo, ha voluto donarsi al mondo e riscaldarlo un pò, come solo lui sa fare. I campi comunque portano i segni di una notte gelida, la terra è dura come pietre e fatica a rilassare la sua forza.

I campi che circondano l’orto sono delimitati da un fosso pieno di acqua ghiacciata e, al centro dell’orto, si intravede la sagoma di un uomo intento a tirar legnate alla terra, è Toni.

Toni racconta che se si tornasse indietro di sessant’anni, si vedrebbero orde di ragazzini scivolare sul letto del fosso, mentre vanno a scuola - “Altro che smarfon e zoghi pa rincoionii” -.

Toni racconta che in un giorno freddo di gennaio, si trovava in quel suo orto “in mezo ai campi” ma non riesce a ricordare il motivo per cui si trovasse proprio li a quell’ora. Se va indietro con la memoria si ricorda il freddo e lui con la zappa in mano e le “sope de tera dure come a testa de me moiere”. Ecco ora mi ricordo, dice. Gambe aperte e zappa in mano, cercava di creare un solco per poi piantare qualche verdura, “a genaio ze dura” e ce la metteva tutta racconta Toni. “Gavevo - voce del verbo avere - fredo da par tuto” e aveva cominciato a sentire brontolare la pancia ma non era fame. Toni anche oggi si ritiene un uomo d’altri tempi, forte senza paura, non come quelli di adesso con le sopracciglia curate e “il buso del cueo sbiancà”. Figuratevi se un brontolio di pancia potesse impensierirlo o fermarlo dal suo obbiettivo, avanti sempre come un mulo che porta un obice sulla schiena “su pa i monti”. La pancia non era però così d’accordo con lui e non aveva alcuna intenzione di terminare quel brontolio. Mettici poi che Toni avesse trangugiato per colazione la “minestra de fasoi de so moiere” preparata con le ossa di maiale, bè, era quasi sicuro che all’interno di Toni si fosse creato un vulcano pronto a eruttare in qualsiasi momento. Sapete, dice lui, per uscire a gennaio “pa i campi” si usava un pigiama intero di lana chiuso sul davanti da una serie di bottoni, una gabbia in casi di necessità “de pansa”. Zappa di qua e poi di la, a ogni colpo risuonava “na scoreza”, afferma ridendo, finché “l’aria ze finia” e all’aria ha preso posto il magma di “fasoi e ossi de porseo”. Sembrava di stare all’ultimo dell’anno in Prato della Valle a guardare i “foghi sciopare in aria”, soltanto che questi sono scoppiati dentro alle mutante e scivolati per tutto il pigiama di lana grossa. Ingabbiato e imprigionato dal magma Toni racconta di aver continuato a zappare come nulla fosse e, siccome non si butta via niente, dopo essere tornato a casa e aver lavato il pigiama tre volte “me moiere no voeva toccarlo”, promise a lei, di non mangiare più alle cinque del mattino la minestra di fagioli: era una bugia. Alla prossima.



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