
Mi sento stretto. Fa caldo e tutto è appiccicoso. È come stare in una scatola di cartone, quella che non serve a nessuno e che si butta. Per uscire un pò da quella prigione mentale, immagino di essere in un un castello con cavalieri, cavalli, spade e lance.Cambio. Ora sono le sei del mattino e sono immobile nel bagno di casa, a guardare e sentire il rumore della lavatrice che gira e sballottola i vestiti a destra e a sinistra. Fa caldo però. È come stare vicino al fornello della nonna, e assistere allo scoppio a casaccio delle bolle nel grande pentolone, del tutto simile a quello di una strega, trovata in un libro vecchio nella grande libreria di vetro e legno dal profumo antico Ritorno. Guardo fuori e c’è il sole, meglio tornare ai miei sogni e alla nonna. Quando sento dal cortile davanti casa il rumore delle “pignatte” corro veloce, mi avvicino, e aspetto che lei si volti verso di me e mi giri qualche cucchiaiata di baccalà. Conosce le mie strategie ma per lei è sospetto il mio far nulla, li in piedi, io che occupo tutto il mio tempo giocando fuori insieme ai miei cugini. Fa caldo e c’è un’insopportabile odore di plastica.
Una curva e poi un’altra, mi gira la testa e mi viene da vomitare ma sto zitto. Sono vicino al finestrino e ci sbatto la testa ogni volta che la curva gira verso destra e penso, come sarebbe bello un mondo solo con curve a sinistra. In fondo però sono carine le curve. Senza curve non ci sarebbe la possibilità di cambiare strada, quando incontri qualcuno e non hai voglia di parlare. Le curve “sono un regalo per chi non si accontenta” dice un’anziana vicina di casa, e comunque, non è poi così scontato prenderle e correrci dentro, ribadisce suo marito. La sicurezza del vado dritto, quella è una grande invenzione dell’uomo. Dritto senza pensieri e le comodità di sempre, non serve pensare e ragionare: vai e basta, punto finita li.
Andare dritto è una tentazione, diciamolo. Lei ci tocca la spalla nel momento in cui capisce che forse stai per girare.
Ecco un’altra curva a destra. Questa lattina gialla sbanda, è piena di cose da portare con noi in viaggio. Mi hanno sempre spiegato che le cose da portare, quando si parte, sono tante e non finisco mai. È con la frase “non si sa mai” che si chiudono i discorsi e si svuotano frighi e armadi. Se fa freddo vuoi non avere il maglione? Se piove vuoi non avere l’ombrello? Braghe corte e lunghe, magliette, maglioncini e scarpe di ogni tipo.
La lattina gialla sopporta il peso di quattro persone, un tavolino e le sedie, un contenitore con pasta e fagioli, forchette cucchiai e ombrellone poi tutto quello del non si sa mai. Il mio girovagare fantasioso si ferma, interrotto dalla voce di papà che ricorda per l’ennesima volta che siamo quasi arrivati. Va da sè io aspetto. Intanto sorrido guardando fuori e ricordo la barzelletta di Adriano, un compagno di scuola, sulla lattina gialla e degli elefanti. Fa sganasciare.
Insomma tutto questo traffico in pochi metri quadri, invalida la tesi della domanda su quanti elefanti ci stanno in una cinquecento e comunque per noi, sono quattro più il “non si sa mai”. Finalmente arriviamo, scendo e sorrido. Ecco le mie montagne, i miei nonni, papà mamma e i miei cugini, Stefano mio fratello e le mucche. Noi bambini corriamo in giro e la cinquecento riposa.